Lavoratore part-time: Il datore di lavoro puo’ modificare l’orario di lavoro? E’ legittimo il licenziamento in caso di non accettazione da parte del lavoratore della nuova collocazione temporale lavorativa?
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“Il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento…le esigenze organizzative che sottostanno alla richiesta di variazione dell’orario non possono rilevare, di per se’, come ragione oggettiva – esclusiva ed autosufficiente – di licenziamento, perché’ questo significherebbe cancellare di fatto la protezione legale che consente al lavoratore di opporre un legittimo rifiuto alla proposta datoriale di cambiamento dell’orario di lavoro, rifiuto che non può trasformarsi – con aperta contraddizione della normativa – in automatico presupposto del suo licenziamento”.
Tanto ha statuito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 30093 del 30 ottobre 2023 in relazione alla vicenda di una lavoratrice part-time che aveva impugnato il licenziamento intimatole dalla società datrice di lavoro per giustificato motivo oggettivo a seguito del rifiuto di accettare la proposta datoriale di modifica della collocazione dell’orario di lavoro.
Per comprendere l’iter logico- giuridico che ha condotto gli Ermellini alla statuizione del suindicato principio, occorre tracciare preventivamente i tratti salienti della disciplina prevista in tale ambito.
Il contratto part-time è un contratto di lavoro subordinato in cui il lavoratore è impiegato per un numero di ore non superiore a 40. Si parla, quindi, di orario ridotto a fronte del quale il lavoratore gode delle stesse garanzie e degli stessi diritti dei dipendenti assunti a tempo pieno, in proporzione alla quantità di lavoro prestata.
All’interno del contratto sono indicate le ore di lavoro in maniera precisa e puntuale, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
Il datore di lavoro, nel corso del rapporto lavorativo, non potrà modificare a suo piacimento la collocazione temporale della prestazione lavorativa, salvo il caso in cui nel contratto vengano inserite le clausole elastiche, ossia una pattuizione tra le parti che consenta all’azienda di aumentare l’orario lavorativo del lavoratore o di variarlo.
Nel caso in cui il datore di lavoro voglia applicare le c.d. clausole elastiche per cambiare la collocazione temporale della prestazione lavorativa, dovrà darne comunicazione al lavoratore con un preavviso di almeno due giorni e questi dovrà esprimere il suo consenso per iscritto.
- Ma cosa accade se il datore di lavoro di sua iniziativa procede ad una variazione dell’orario di lavoro stabilendo un orario part-time diverso o una diversa sua collocazione nella giornata in assenza di clausola elastica?
- E, inoltre, può la mancata accettazione della modifica nell’orario di lavoro da parte del lavoratore costituire oggetto di licenziamento?
Secondo i giudici di legittimità in caso di rifiuto della proposta datoriale di modifica della collocazione dell’orario part-time, il dipendente può essere legittimamente licenziato solo se il recesso non è stato intimato a causa del diniego opposto, ma in ragione dell’impossibilità di utilizzo della prestazione con le precedenti modalità orarie per effettive ragioni economiche dimostrate dal datore di lavoro. Occorre, dunque, che il datore dia prova non solo dell’effettività delle ragioni addotte per il cambiamento dell’orario, ma anche dell’impossibilità di un utilizzo altrimenti della prestazione (con modalità orarie differenti), quale elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo.
Pertanto, il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale del lavoratore a condizione che quest’ultimo ne dia accettazione per iscritto. In caso di mancato consenso, il lavoratore non potrà essere licenziato. Il datore potrà, invece, procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo laddove provi che non sussistano ulteriori soluzioni occupazionali o orari diversi all’interno dei quali collocare la prestazione lavorativa quali vie alternative al licenziamento.
Nella suindicata sentenza, dunque, la Corte di Cassazione dimostra di operare un bilanciamento di interessi: se da una parte la pronuncia degli Ermellini si pone a garanzia della protezione legale che attribuisce al lavoratore il diritto di opporre un legittimo rifiuto alla proposta datoriale- rifiuto che non può costituire sic et simpliciter ragione e presupposto di licenziamento- dall’altra fa salvo l’altrettanto legittimo diritto di recesso del datore di lavoro quando il rifiuto alla proposta di trasformazione entri in contrasto con le ragioni di carattere organizzativo.
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