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GRANDI PROFITTI, TASSAZIONE IRRISORIA: PERCHÉ APPLE DEVE PAGARE 13 MILIARDI DI EURO IN TASSE ARRETRATE DALL’IRLANDA?

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Con la sentenza del 10 settembre 2024, resa nella causa C-465/20 P, la Corte di Giustizia dell’UE ha definitivamente accertato che l’Irlanda ha concesso vantaggi fiscali ad Apple, in violazione delle norme europee sugli aiuti di Stato.

La res iudicata verte, principalmente, sugli accordi fiscali concessi dall’Irlanda tra il 1991 e il 2014, che avrebbero garantito alla big tech una tassazione di gran lunga vantaggiosa rispetto ad altre aziende.

Ma qual è la storia dietro il pluriennale contenzioso tra la Commissione Europea e Apple?

I. Come tutto è iniziato: l’indagine della Commissione Europea del 2014 e la decisione del 2016

Nel 2014, la Commissione Europea ha iniziato a indagare sugli accordi fiscali tra il governo irlandese e Apple, al fine di accertare la loro conformità alle norme di diritto fiscale comunitario. La predetta indagine si è conclusa solo due anni dopo, nel 2016, con la decisione della Commissione che ha condannato l’azienda di Cupertino a pagare 13 miliardi di euro di tasse arretrate all’Irlanda.

In particolare, secondo la Commissione, le due filiali europee di Apple – Apple Operations Europe (AOE) e Apple Sales International (ASI) – avevano beneficiato di due distinti ruling fiscali per oltre vent’anni (dal 1991 al 2014), che avevano ridotto progressivamente, il loro carico fiscale, portandolo nel 2014 all’irrisoria aliquota dello 0,005%.

Poche briciole, considerando che la società californiana ha dichiarato ricavi per 37,4 miliardi di dollari nello stesso anno.

Ciò posto, qualcuno potrebbe chiedersi: “Cos’è un ruling fiscale?”.

In parole povere, un ruling fiscale è un accordo tra uno Stato ed una singola azienda atto a definire, a favore di quest’ultima, un regime fiscale speciale, al fine ultimo di spingere la stessa ad investire sul territorio nazionale.

Ebbene, l’Irlanda ha guadagnato una discreta fama tra gli investitori, grazie all’applicazione sistematica di queste pratiche, trasformandosi, anno dopo anno, in una vera e propria Mecca per le grandi aziende. Basti pensare che, nel periodo oggetto d’indagine da parte Commissione Europea (cioè dal 1991 al 2014), l’imposta sul reddito in Irlanda è scesa dal 24% al 20% nel 2000, al 16% nel 2002 e al 12,5% nel 2003.

II. La risposta di Apple e dell’Irlanda: il ricorso al Tribunale dell’Unione Europea

 

Nel 2016, Apple ha contestato la decisione della Commissione Europea presentando ricorso al Tribunale dell’Unione Europea. L’Irlanda, pur essendo obbligata dalla Commissione a riscuotere i propri crediti fiscali, si è schierata dalla parte di Apple, sostenendo che il trattamento riservato all’azienda fosse stato assolutamente conforme alle leggi irlandesi e che la Commissione stava interferendo con la sovranità fiscale del paese.

Il processo di appello, che è durato ben quattro anni, si è concluso con una schiacciante vittoria per l’isola verde ed il Colosso di Cupertino: il Giudice di prime cure Europeo ha, infatti, osservato come la Commissione, nella propria decisione, avesse fornito prove non sufficienti a dimostrare il trattamento fiscale favorevole contestato e la sua non conformità alla normativa europea.

III. Il secondo grado di giudizio: il ricorso della Commissione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La decisione del Tribunale Europeo del 2020 ha, senz’altro, rappresentato una battuta di arresto agli  sforzi Comunitari di regolare le pratiche fiscali tra le multinazionali all’interno dell’UE oltre che un serio pericolo alle politiche di equità, correttezza e libera concorrenza di mercato, da sempre parte integrante dei programmi economici dell’Unione.

Comprensibile, pertanto, è la scelta dell’esecutivo UE di impugnare la decisione innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Così, nel 2016 si è aperto il secondo grado di giudizio, conclusosi solo nel Settembre 2024 con un clamoroso rovescio della medaglia.

Ed infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha definitivamente confermato la decisione della Commissione del 2016, annullando la precedente sentenza del Tribunale; il tutto, sulla base dei principi di seguito sinteticamente riportati:

Illiceità dei ruling fiscali tra Irlanda ed Apple: La CGUE ha stabilito che i vantaggi fiscali concessi dall’Irlanda ad Apple costituivano aiuti di Stato illeciti ai sensi del diritto dell’UE. Il regime fiscale del quale Apple ha lungamente beneficiato, in sostanza, è stato considerato distorsivo della concorrenza e degli scambi tra gli Stati membri dell’UE.

Trattamento fiscale favorevole: La Corte ha riscontrato che le decisioni fiscali concesse ad Apple hanno consentito all’azienda di pagare tasse significativamente inferiori rispetto ad altre società operanti in Irlanda, risolvendosi in un vantaggio selettivo e distorsivo della libera concorrenza nel mercato dell’Unione.

Sussistenza di congrue prove circa i vantaggi fiscali concessi dall’Irlanda: La CGUE, ribaltando la decisione del Tribunale dell’Unione, ha accertato come la Commissione, già nel 2016, avesse sufficientemente provato la sussistenza di agevolazioni fiscali selettive, in quanto destinate alla sola azienda di Cupertino, violando il principio di concorrenza leale all’interno dell’UE.

Conformità con il diritto UE: La CGUE ha confermato che la decisione della Commissione di richiedere il rimborso delle tasse non pagate fosse conforme ai regolamenti dell’UE sugli aiuti di Stato. La decisione ha sottolineato che gli Stati membri devono garantire che le loro politiche fiscali non favoriscano ingiustamente alcune aziende rispetto ad altre.

IV. Conclusione: una pietra miliare per l’equità nel mercato europeo

In buona sostanza, con la propria decisione, la CGUE ha puntato i riflettori sugli effetti collaterali connessi all’abuso di ruling fiscali tra Stati ed operatori economici. Tali accordi, pur se perfettamente legali secondo la legislazione europea, sono infatti forieri di significative distorsioni della concorrenza, in quanto atti, almeno in potenza, a favorire i “giganti” del mercato globale a discapito dei “pesci piccoli”.

 A lungo termine, un loro abuso potrebbe, addirittura, tradursi in un disincentivo alla creazione di nuove imprese, in contrasto con i principi di concorrenza libera e leale posti a fondamento dell’Unione Europea.

 

Dopotutto ‘dura lex, sed lex’, ed è confortante sapere che, a volte, questo principio si applica anche a quelle aziende ‘giganti’ che nell’immaginario collettivo sembrano quasi intoccabili.”

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